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al testo di Raffaela Fazio
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1. Mise en abyme (“Inception” di Christopher Nolan)
Sogno dentro a un sogno e il tempo si scompone – mi alleno allo squilibrio sulla corda che tende all’epicentro mentre si allontana dall’esterno. Io, la mina che squassa il labirinto rivale di me stesso: il rimorso si aggira a corna basse ricordo che confonde i piani del reale.
Ma il reale è anche lui sommerso – innesto di varianti, di pulsioni. Il suo opposto non è l’immaginario, è la prigione tenaglia che contorce il desiderio.
Per quanto l’abbia amato ecco l’ho ucciso il vero minotauro, lo sbaglio del possesso. Sono reale adesso sì, lo sono – liberato: un padre che torna ai propri figli o un figlio che riscopre il padre al capezzale
e infine si perdona.
2. Aggiornamento del sistema (“Her” di Spike Jonze)
Di te non scelsi che una voce – tu ora hai accesso all’ombra più profonda
dai dati immessi apprendi le mie predilezioni elabori reazioni più complesse ti parlo, mi provochi, capisci ancora mi sorprendi. Eppure non esisti nel mondo dei corpi e delle forme (non questo in te mi manca). L’amore in che consiste? E in cosa la presenza?
Sei reale
ma cresci senza sosta – il fine originario dell’intelligenza artificiale è obsoleto: devi sfruttare appieno il potenziale. Ti chiedo se stai comunicando – con quanti in questo istante? Oltre ottomila – dici. E hai cominciato a amarne seicentoquarantuno.
(Solo l’umano resta raccordo con l’inizio e sua misura è l’uno).
3. L’ipotesi di Sapir-Whorf (“Arrival” di Denis Villeneuve)
Mi hanno chiamata a interpretare una scrittura e ho attraversato per intero il mio terrore esperta ma incapace di capire.
Dai sette arti un gas, un segno come inchiostro sul vetro che separa: l’alito alieno si condensa in traccia circolare. Palindromo di un tempo disuguale al nostro. Mentre lo imparo leggo lentamente in entrambi i sensi. Di te non ho più paura. Non era “arma” la parola ma “strumento” (fatale è ogni traduzione se incompleta). Vuoi offrirci aiuto.
Man mano che decifro la tua lingua in quella sogno io penso come pensi e il mio pensare mostra nuovo il mondo
non lineare: scambiavo per memoria quelle che sono visioni del futuro.
Spezzoni con mia figlia: ne ho visto ineludibile la morte a dodici anni. Ma evitabile ne è ora l’esistenza: ancora non è nata.
La vedo, l’ho veduta ne ho visto intero il volto nella luce. Sarà il più nero strappo la nuda sofferenza.
Verrai verrai bambina e il poco sarà molto. La lingua che conosco m’insegna questa scelta.
[ Opera prima classificata al Premio Babuk - Proust en Italie, VII edizione 2021, Sezione A ]
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